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DTT. I broadcaster europei tornano a preoccuparsi di un nuovo refarming per la banda 600 MHz. Parte la campagna No change #saveourspectrum

Fonte: https://www.newslinet.com/dtt-i-broadcaster-europei-tornano-a-preoccuparsi-di-un-nuovo-refarming-per-la-banda-600-mhz-parte-la-campagna-no-change-saveourspectrum/
 

Dopo aver nei mesi scorsi dichiarato di aver ricevuto rassicurazioni dagli organi politici e regolamentari europei circa il mantenimento a favore della televisione della attuale banda UHF 470-694 MHz, i broadcaster tornano a preoccuparsi, lanciando la campagna No change #saveourspectrum.
In realtà, su queste pagine avevamo mostrato estrema perplessità a riguardo della sopravvenuta tranquillità degli operatori televisivi europei, osservando come, al contrario, fossero più che evidenti segnali contrari che facevano presagire l’intenzione di un nuovo refarming entro 7 anni. Indicatori che ora sono stati recepiti anche dai broadcaster.

 

No change #saveourspectrum

Per parte italiana, aderisce alla campagna No change #saveourspectrum la rappresentanza Confindustria Radio Televisioni che “si unisce all’appello delle industrie europee dell’audiovisivo e della cultura per proteggere la produzione e la distribuzione della TV attraverso la banda UHF”.

 

Sensibilizzazione di decisori, governanti e regolatori

“Sono più di 100 le organizzazioni culturali e dei media che con un appello congiunto invitano i decisori, i governi e le autorità di regolamentazione a proteggere la produzione e la distribuzione dei media e degli eventi culturali attraverso la banda UHF fra i 470 e i 694 MHz (cosiddetta “banda sub 700”)“, spiega Confindustria Radio Tv in una nota a riguardo dell’appello No change #saveourspectrum.

 

Appuntamento al WRC-23

“Alla prossima Conferenza Mondiale delle Radiocomunicazioni dell’ITU (WRC-23), prevista per l’autunno 2023, si corre infatti il rischio di trasferire tale banda ai servizi mobili a banda larga attraverso un’allocazione “co-primaria”, che si tradurrà in un’esclusione de facto dei media e del settore culturale dall’etere. Di seguito i contenuti dell’appello che da oggi circolerà in Europa“, continua l’ente esponenziale.

 

Le fondamenta della campagna No change #saveourspectrum

Le ragioni della campagna No change #saveourspectrum sono riassunte in vari punti.

 

Accessibile, inclusiva ed economica

Il primo è che la televisione terrestre (DTT) sulla banda UHF “è facilmente accessibile, inclusiva ed economica: collegare un televisore offre accesso immediato a programmi pubblici e privati”.

 

Robusta, affidabile, sostenibile, innovabile

“Anche in caso di catastrofi naturali o provocate dall’uomo, la distribuzione delle trasmissioni via etere è molto affidabile. Il DTT UHF è sostenibile, essendo il metodo di distribuzione più economico e sostenibile per comunicare lo stesso contenuto a tutta la popolazione ed innovabile con nuove tecnologie digitali come ad esempio il 5G Broadcast”.

 

No ulteriori risorse alla banda larga mobile

“Il settore dei servizi mobili beneficia già di notevoli risorse della banda UHF, come le bande 700 MHz e 800 MHz. Tali bande, precedentemente utilizzate da sempre da DTT e PMSE (Programme Making and Special Events), sono state allocate alla banda mobile per sviluppare la diffusione rurale: le carenze che ancora permangono possono essere risolte sviluppando ulteriormente le infrastrutture e con la larghezza di banda già assegnata al mobile”, spiega Confindustria Radio Tv.

 

Call to action

“Ogni giorno, milioni di persone in Europa beneficiano della televisione terrestre e delle produzioni mediatiche di eventi culturali dal vivo. Per un settore dei media e della cultura fiorente, che possa innovare e mantenere la qualità e l’accessibilità per tutti si richiede ai decisori politici, i governi e i regolatori di sostenere il “No Change” nell’allocazione della banda UHF 470 e 694 MHz”, conclude il sindacato.

 
Link dell’appello

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Aggiornamenti Aprile Mux Sicilia

Nel mux TELESPAZIO TV (UHF 21):

inseriti gli inediti TVZ (LCN 80) e MESSINA NEWS (LCN 91), entrambi senza logo, BUSINESS CHANNEL (LCN 99) e ITALIANISSIMA TV (LCN 117);

PALERMO NEWS (LCN 118) non ripete più TURISMO TV, ma ha attivato la propria programmazione;

passaggio in alta definizione per TELE ANNA (LCN 190) che trasmette anche con il logo di ANTENNA UNO LENTINI:

 

Nel mux Rai Way (UHF 32) di 2′ livello l’emittente Canale 8 (LCN 184) non ripete più Telejato, ma ha ripreso la propria programmazione:

RMK TV (LCN 80) [trasmette in HD]
TVM (LCN 83)
TFN (LCN 84) [trasmette in HD]
ALPAUNO (LCN 86)
TELESUD TRAPANI (LCN 88) [trasmette in HD]
TRC TELE RADIO CANICATTI’ (LCN 91)
Televideo Agrigento (LCN 92)
VIDEOSICILIA (LCN 93)
Tele Radio Studio 98 (LCN 95)
AGTV (LCN 97)
SICILIA TV 2 (LCN 99) [schermo nero]
TELEVALLO (LCN 115)
TELE 8 (LCN 117)
TELEIBLEA (LCN 178) [trasmette in HD]
SICILIA 24 (LCN 179) [trasmette in HD]
BELLA TV (LCN 181) [trasmette in HD]
Canale 8 (LCN 184)
TV EUROPA (LCN 185)
RETECHIARA (LCN 188)
LA TR3 (LCN 211) [trasmette in HD]

 

Nel mux Rai Way (UHF 42) di 1′ livello, in base agli orari s’alternano i loghi di CANALE Italia e CANALE Italia EXTRA sulla LCN 71 identificata CANALE ITALIA 83 EXTRA, mentre CIAK TELESUD (LCN 77) e TVA TELENORMANNA (LCN 79) hanno attivato il formato video 16:9:

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Radio. DAB: quanti consorzi locali hanno un modello di business sostenibile?

Fonte: https://www.newslinet.com/radio-dab-quanti-consorzi-locali-hanno-un-modello-di-business-sostenibile/
 

Modelli di business sostenibili nel tempo per i consorzi DAB: in quanti li hanno pensati (veramente)?
La sensazione è che il comparto radiofonico non abbia sufficientemente fatto tesoro di quanto accaduto in occasione del processo di refarming della banda 700 MHz. Istruttoria a cui si sono sostanzialmente uniformate le procedure per l’assegnazione dei diritti d’uso della radio digitale ai consorzi locali.

 

Modelli di business

A parte le precedenti previsioni normative e regolamentari recanti elementi di forte sovrapposizione tra i due modelli, le Linee guida sui bandi DAB nell’ultima formulazione (si spera definitive) sono chiare sul punto: le procedure nelle situazioni di competizione (cioè nelle aree tecniche dove le frequenze saranno meno dei soggetti che ne richiederanno l’attribuzione) sono un mix tra quelle dei bandi per operatori di rete DTT e per fornitori di servizi di media audiovisivi (FSMA).

 

Ancora una volta i PDV

E ciò sia sul piano tecnico, con le consuete forche caudine costituite dai punti di verifica dei segnali (PDV) con cui si valuterà il rispetto dei rapporti interferenziali interni (tra aree tecniche) ed esterni (internazionali), approvando o bocciando progetti di rete, che su quello dei punteggi di natura finanziaria ed economica (che non sono sinonimi, ma concorrono insieme a determinare la sostenibilità dell’ente consortile) ed imprenditoriale (dipendenti, regolarità amministrativa dei consorziati, esperienza, ecc.).

 

Business

Passando, naturalmente, da fattori non oggetto di valutazione ministeriale, ma non per questo meno importanti: i modelli di business commerciale. Posto che una società consortile ha uno scopo mutualistico compatibile con finalità di lucro.

 

La prova del DTT

Bene. Come noto, col DTT sono stati premiati gli operatori di rete nazionali (o sovrareali) declinati in ambito locale, che, conseguendo facilmente maggiori punteggi nei beauty contest, nella quasi totalità dei casi, hanno ottenuto l’attribuzione dei diritti di primo livello e, dove hanno partecipato alle procedure competitive, anche di secondo livello.

 

Sostenibilità

Già da qui si dovrebbero trarre elementi di riflessione strategica a riguardo di scelte effettuate in difetto di economia di scala.

 

Nel lungo periodo

Tuttavia quelli da valutare non dovrebbero essere solo gli aspetti immediati, cioè legati alle condizioni di partecipazione ai bandi.

 

Riflessioni ex post

In ambito televisivo, successivamente all’assegnazione dei diritti d’uso e quindi dell’attribuzione della capacità trasmissiva, a poco più di un anno di distanza si stanno già manifestando le conseguenze economiche di determinate scelte.

 

Matrimoni e divorzi

Con situazioni di insostenibilità dei costi da parte di fornitori di contenuti, che, in qualche caso, non ne avevano correttamente valutato la portata, sposando un modello di business (per loro) inopportuno. Circostanza che, in ambito radiofonico, dovrebbe comportare la domanda: il mio consorzio come si sosterrà?

 

Fornitori di contenuti indipendenti

Soprattutto se il modello di business esclude la collocazione di capacità trasmissiva verso l’esterno, cioè a favore dei nativi digitali indipendenti. Questi ultimi, infatti, sono gli unici in grado di portare, da fuori, linfa economica ai consorzi che, diversamente, possono solo sostenersi attraverso contribuzioni dei soci.

 

Film in replica

Non è un caso che in queste ultime settimane stanno aumentando gli editori (non necessariamente solo di emittenti comunitarie, le più esposte al problema) dubbiosi a riguardo delle scelte effettuate per l’adesione ad un consorzio piuttosto che ad un altro.

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Radio. Pubblicato l’aggiornamento delle Linee guida per le procedure per l’assegnazione dei diritti d’uso DAB+ per i consorzi radio locali

Fonte: https://www.newslinet.com/radio-pubblicato-laggiornamento-delle-linee-guida-per-le-procedure-per-lassegnazione-dei-diritti-duso-dab-per-i-consorzi-radio-locali/
 

Come anticipato nei giorni scorsi da questo periodico, il Ministero delle imprese e del made in Italy ha pubblicato un aggiornamento delle linee guida sulle procedure di selezione per l’assegnazione dei diritti d’uso per le reti pianificate sui bacini di utenza locale ad operatori di rete DAB+.

 

La genesi

L’adozione della Delibera n. 286/22/CONS dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, adottata in attuazione dell’art. 50 comma 8 del D.Lgs. n. 208/2021, ha approvato il “Piano nazionale provvisorio di assegnazione delle frequenze in banda VHF – III per il servizio di radiodiffusione sonora in tecnica digitale DAB+ (PNAF-DAB)”, realizzando così il presupposto necessario perché il Ministero possa procedere al rilascio dei diritti d’uso sulle reti pianificate da Agcom.

 

L’aggiornamento

Nel merito, come aveva ipotizzato NL, le variazioni riguardano gli obblighi di copertura, ripristinati con l’impegno a raggiungere determinate quote di popolazione in luogo del territorio (come per i network provider televisivi) e la possibilità per un unico consorzio di concorrere all’attribuzione dei diritti d’uso in ogni area tecnica, ovviamente attraverso raggruppamenti di soci in possesso dei requisiti specifici per bacino o sub-bacino di riferimento (anche qui uniformandosi al comparto tv, dove player nazionali come EI Towers e Rai Way hanno ricevuto l’attribuzione di diritti d’uso in quasi tutte le aree tecniche del territorio nazionale).

 

La precisazione

In questo senso, pertanto, sembrano essere privilegiati, per una questione di economia di scala, i grandi consorzi rispetto a quelli specificamente creati per ogni area tecnica, anche se la precisazione (introdotta con l’aggiornamento) secondo la quale “resta fermo per l’emittente radiofonica in ambito locale il vincolo stabilito dall’art. 3, comma 1, lett. cc) del D. Lgs. 208 dell’8 novembre 2021“, potrebbe creare qualche problema alle grandi stazioni.

 

Ambito locale

La disposizione ex art. 3 c. 1 lett. cc) D. Lgs. 208/2021, come noto, definisce  «ambito locale radiofonico» “l’esercizio dell’attivita’ di radiodiffusione sonora, con irradiazione del segnale fino a una copertura massima del 50 per cento della popolazione nazionale“.

 

Superstation

Per i soggetti che operano sulla soglia di tale limite la questione potrebbe costituire una difficoltà, considerato che, mentre in FM è possibile adeguarsi (al tetto di popolazione) regolando la consistenza impiantistica in maniera quasi chirurgica (eliminando per esempio un solo diffusore FM che concorre al superamento), in DAB occorre agire su interi bacini (o sub-bacini) di utenza. Qui per consultare il documento.

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Tv. Le tv locali in Italia: Sicilia al 1° posto per numero di FSMA e Val d’Aosta all’ultimo. Media Progress: capacità trasmissiva, PIL e demografia non spiegano

Fonte: https://www.newslinet.com/tv-le-tv-locali-in-italia-sicilia-al-1-posto-per-numero-di-fsma-e-val-daosta-allultimo-media-progress-capacita-trasmissiva-pil-e-demografia-non-spiegano/
 

Uno studio Media Progress fa il quadro della curiosa logica di ripartizione delle tv locali in Italia post refarming della banda 700 MHz.
Come noto, il Ministero delle imprese e del made in Italy ha pubblicato l’aggiornamento delle autorizzazioni per fornitori di servizi di media audiovisivi (FSMA) in ambito locale al 12 aprile 2023, suddividendolo per aree tecniche (regioni, raggruppamenti di regioni, province autonome).
Non si tratta, naturalmente, di un elenco definitivo in quanto sono in corso di rilascio nuove autorizzazioni, così come alcune scadranno senza essere rinnovate.
Ma è comunque un quadro interessante della mutata distribuzione delle tv locali italiane successivamente al refarming (con la conseguente minore disponibilità di capacità trasmissiva in talune aree tecniche e conseguentemente dell’aumento dei costi di trasporto) ed all’evoluzione del mercato della televisione lineare via etere.

 

L’analisi di Media Progress

L’esame che ci apprestiamo a condurre riporta alcuni stralci dell’introduzione di un complesso studio condotto da Media Progress, società della galassia Consultmedia che si occupa di analisi di mercato per investitori italiani ed esteri.

 

Regioni affollate

“La regione con maggior numero di emittenti locali è la Sicilia, con 76 FSMA (a fronte di una rete di 1° livello e 4 di 2° livello con province completamente scoperte da queste ultime Sr e Ct), seguita dal Lazio con 74 (vs una rete di 1° livello e 5 di 2° livello con province completamente scoperte Vt e Lt) e dalla Calabria, con 72 FSMA (una rete di 1° livello e 3 di 2° livello con province completamente scoperte Rc, Cs e Kr)“, si legge nella sezione introduttiva dello studio Media Progress.

 

Campania, Toscana, Lombardia

“Sotto la soglia delle 70 emittenti troviamo poi la Campania (64, con una rete di 1° livello e 5 di 2° livello, senza province scoperte), la Toscana (63, vs una rete di 1° livello e 5 di 2° livello con province completamente scoperte Gr, Pi, Li, Ms, Lu) e la Lombardia ed il Piemonte orientale (62, vs due reti di 1° livello e due di 2° livello con province completamente scoperte Bg, Co, Lc, Mi, MB, Pv, Va, Al, Bi, No, Vb, Vc, Pc)”, continua lo studio.

 

Emilia Romagna, Piemonte, Umbria, Puglia e Basilicata, Abruzzo e Molise, Veneto

“Lo step successivo vede un crollo di numero di FSMA con Emilia Romagna a 42 (vs una rete di 1° livello e 3 di 2° livello con province completamente scoperte Fe, Fc, Ra, Rn), seguita da Piemonte (39, vs una rete di 1° livello e 2 di 2° livello con province completamente scoperte Al, Bi, No, Vb, Vc) Umbria (37, a fronte di una rete di 1° livello e 3 di 2° livello con nessuna provincia scoperta) Puglia e Basilicata (35, a vs una rete di 1° livello e 3 di 2° livello con province completamente scoperte Ta, Le e Fg) Abruzzo e Molise (34, contro una rete di 1° livello e 4 di 2° livello con province completamente scoperte Ch, Te e Cb) e Veneto (31, vs una rete di 1° livello e 1 di 2° livello solo per Bl)”, prosegue l’analisi.

 

Aree a bassa densità di emittenti

“Sotto le 30 stazioni troviamo le Marche (26 FSMA, a fronte di una rete di 1° livello e 1 di 2° livello con province completamente scoperte Ap e Pu) la Liguria (25, contro una rete di 1° livello e 1 di 2° livello con province completamente scoperte Sp) la Provincia autonoma di Bolzano (22, vs tre rete di 1° livello)”, si legge nel report di Media Progress.

 

Il caso singolare della Val d’Aosta

“Tra 10 e 19 FSMA vi sono il Friuli Venezia Giulia (18 FSMA, vs di una rete di 1° livello e 1 di 2° livello con province completamente scoperte Ud e Pn) la Sardegna (16, contro di una rete di 1° livello), la Provincia autonoma di Trento (12, a fronte di una rete di 1° livello) e la Val d’Aosta (11, di cui peraltro 3 costituiti da ripetizioni di emittenti francesi, vs una rete di 1° livello e 1 di 2° livello senza province scoperte)”, spiega la relazione.

 

Reti di 2° livello non sufficienti

“Dall’analisi effettuata le reti di 2° livello non risultano completamente funzionali alla distribuzione dei FSMA su tutte le province nelle varie regioni. Alle situazioni ideali che riguardano la Campania, dove le reti di 2° livello – una regionale e 4 sub-provinciali – non lasciano scoperta nessuna provincia, e l’Umbria (due rete di 2° livello che coprono l’intera regione), fanno da contraltare le criticità in Toscana, dove nessuna delle reti di 2° livello copre 5 province su 10, ed il Veneto dove esiste una rete di 2° livello che copre la sola provincia di Belluno lasciandone fuori ben 7”, sottolinea Media Progress.

 

Motivazioni della distribuzione dei FSMA

“La diversa distribuzione non trova ovviamente ragione solo nella maggiore o minore disponibilità di capacità trasmissiva“, commenta Giovanni Madaro, economista che ha contributo allo studio di Media Progress.

 

Disponibilità di capacità trasmissiva ed interesse del mercato commerciale

“Se è vero che ci sono regioni con diverse reti di 2° livello (come Sicilia, Calabria, Campania, Toscana) che hanno favorito la sopravvivenza di FSMA (e in qualche caso l’arrivo di nuovi entranti), ci sono casi, come quello della Val d’Aosta (4° posto nella classifica del PIL pro capite, 20° posto per densità dem.), delle province di Trento e Bolzano (Trentinto Alto Adige = 1° posto PIL p.c. e 16° per densità dem.) che non sono certamente motivate dall’assenza di banda sui mux o da asfissia commerciale”, continua il portavoce della Media Progress.

 

Tv locali ancora sentite al Sud

“Lo studio di Media Progress, incrociando diversi indicatori (come la potenzialità economica, la densità demografica e la dimensione territoriale), mostra come vi siano alcune regioni dove la mission delle emittenti locali è ancora sentita, come nel caso della Puglia (associata come area tecnica alla Basilicata, nella classifica del PIL p.c. rispettivamente al  17° e 15° posto a fronte del 6° e 19° posto per densità demografica), della Sicilia (penultima regione per PIL e 8° posto per densità dem.) e della Calabria (ultimo posto classifica PIL p.c. e 13° posto per densità dem.).

 

Ma anche al centro

Ma è anche il caso dell’Umbria (13° posto classifica PIL p.c. e 15° posto per densità dem.), della Toscana (8° posto per PIL p.c. e 10° posto per densità dem.) e dell’Emilia Romagna (3° posto per PIL p.c. e 7° posto per densità dem.).

 

Media Progress: modello tv locali in sofferenza in alcune aree del nord e del centro

Viceversa, ci sono regioni dove il modello delle tv locali è in pesante sofferenza, a causa di un sostanziale sopravvenuto disinteresse del mercato: è il caso della citata Val d’Aosta, del Trentino Alto Adige, delle Marche (11° posto sia nella classifica PIL p.c. che per densità dem.) e della Liguria (10° posto classifica PIL p.c. e 4° posto per densità dem.).

 

Situazioni di difficile interpretazione

Più complessa da decifrare la situazione in aree dove l’assenza di capacità trasmissiva impedisce agli altri indicatori di esprimere i propri effetti: è il caso del Veneto (5° posto per PIL p.c. e per densità dem.) e del Friuli Venezia Giulia (7° posto PIL p.c. e 12° per densità dem.).

 

Situazioni singolari

Situazioni singolari sono invece quelle della Sardegna (14° posto PIL p.c. e 17° per densità dem.), dell’Abruzzo-Molise (12° e 17° posto nella classifica del PIL e 14° e 18° per densità dem.) dove un riscontrato interesse dell’utenza, al cospetto di capacità trasmissiva disponibile, non trova equilibrio con la possibilità delle imprese di reggere i costi a causa di un mercato pubblicitario quasi completamente assente”, conclude Madaro.

 

Il caso delle tv locali non locali della Lombardia

“Paradossalmente, risulta estremamente complessa da decifrare la situazione della Lombardia (2° posto per PIL e 1° per densità dem.), con ben 2° reti di primo livello e due di 2° livello. Qui i nostri indicatori fanno fatica a decifrare se il modello delle tv locali abbia ancora un senso oppure no, considerata la scarsa presenza di emittenti concretamente legate al territorio”, conclude l’economista.

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